Cari amici di Reaglie e amici tutti,
con l’inizio dell’Avvento incomincio a condividere con voi alcune riflessioni sul NUOVO MESSALE e sui cambiamenti che introduce. Se il covid non mi toglierà la parola proseguirò con scadenza settimanale.
Vi segnalo le pagine informate, competenti, saggie e umili di don Paolo Tomatis, Al servizio del dono. La nuova edizione del Messale, Torino, Elledici, 2020 da leggersi con frutto, e, sul Padre nostro, le acute riflessioni di un maestro spirituale quale fu don Divo Barsotti, La preghiera cristiana, Padova, Messaggero 1970.
Un caro e affettuoso saluto con l’accorata invocazione di tutti noi per noi e per tutti “Padre, liberaci dal male!”.
I cambiamenti apportati al “Padre nostro”
Con l’uscita del nuovo messale nella Ia domenica di Avvento, il 29 novembre 2020, entra in vigore la modifica di due frasi del “Padre nostro”.
Il primo cambiamento è lieve: “Rimetti a noi i nostri debiti come ANCHE noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Con questa modifica si è voluto rendere la traduzione italiana più fedele al testo originale greco e alla sua traduzione latina che contengono un “anche” (sicut ET nos dimittimus debitoribus nostris). Personalmente vedo in questo “anche” una sfumatura di umiltà e di supplica e lo intendo in questi termini: «Padre, rimetti a noi i nostri debiti come tu sai fare con incomparabile generosità da par tuo e poiché ci chiedi, a nostra volta, di perdonare, ANCHE noi, con il nostro cuore piccolo e gretto ci incamminiamo sulla strada del perdono, con fatica e spesso senza riuscirci. E quindi o Padre rendi capaci ANCHE noi di perdonare!».
Il secondo cambiamento è più complesso. Finora abbiamo usato l’espressione “e non ci indurre in tentazione”, traduzione fedele al testo greco e alla sua versione latina ma che poteva dar adito a interpretazioni sbagliate. Essa infatti poteva insinuare l’idea che sia Dio a tentarci. Contro questa interpretazione reagiva già la lettera di Giacomo “…Dio non tenta nessuno. Ciascuno piuttosto è tentato dalle proprie passioni che lo attraggono e lo seducono” (Gc 1,13-14). Tant’è vero che la Vetus ltala (una vecchia traduzione della bibbia in latino) traduceva “non tollerare che siamo indotti in tentazione”. In questa linea si ponevano anche Tertulliano (”Non permettere che siamo indotti da colui che ci tenta”), Cipriano (“Non permettere che siamo indotti in tentazione”) e Ilario di Poitiers (“Non ci abbandonare ad una tentazione che non possiamo sopportare”).
Nell’ultima versione italiana della Bibbia curata dalla Conferenza Episcopale Italiana e uscita nel 2007 troviamo già il versetto del “Padre nostro” tradotto con “E NON ABBANDONARCI ALLA TENTAZIONE” (Mt 6,13) la stessa formulazione che ora viene accolta anche nella liturgia eucaristica.
Si era incerti nella scelta tra due formule. “non abbandonarci alla tentazione e “non abbandonarci nella tentazione”. È stata preferita la prima ma entrambe mantengono la loro validità. Il termine “tentazione” (in greco peirasmos) può indicare sia le prove quotidiane alle quali siamo continuamente sottoposti, sia la tentazione finale insidiosa con la quale noi siamo chiamati a scegliere se affidarci all’amore di Dio o a negarci a lui, barricandoci nel nostro egoismo, nella presunzione di bastare a noi stessi. Ora dire “non ci abbandonare nella tentazione” vuol dire: “non lasciarci soli nelle prove della vita, accompagnaci con la tua grazia e sii tu la nostra forza perché sappiamo scegliere il bene per noi e per i nostri fratelli e sorelle”. “Non abbandonarci alla tentazione” vuol dire: “non permettere che la decisione finale della nostra vita consista nel rifiuto (apostasia) e nella disperazione ma sia un perseverare nell’adesione totale a Te, fino all’ultimo”.
“E liberaci dal male (si può anche tradurre dal Maligno)” conclude e porta compimento la domanda sulla tentazione. La tentazione ci incita al male e quindi il suo superamento è una vittoria sul male, una liberazione dal male. Naturalmente la liberazione dal male si riferisce a tutti i mali, fisici e morali, personali e comunitari, il dolore, la malattia, la malvagità umana, in una parola: da tutto ciò che ci rovina e ci rende infelici.
Bella l’invocazione di Jabes in 1 Cronache 4,10:
“Se tu mi benedicessi e allargassi i miei confini,
e la tua mano fosse con me e mi tenesse lontano dal male
in modo che non debba soffrire”.
San Francesco così interpreta:
“Non ci indurre in tentazione…
nascosta o manifesta, improvvisa o insistente.
E liberaci dal male…
passato, presente e futuro”
Le ultime domande del Padre nostro sono la preghiera dell’uomo umile, schietto, onesto e solidale, consapevole della fragilità sua e dei suoi simili ma per nulla disposto a soggiacere al male;
di un uomo che sa di poter e dover contare sull’amore, sulla presenza, sull’aiuto di Dio Padre e del suo Figlio Gesù, consapevole di potere tutto “grazie a Colui che solo ci dà la forza”. La vittoria sulle tentazioni e la liberazione dal male egli le chiede non solo per sé ma per tutti gli uomini, facendosi carico della debolezza di tutti e invocando per tutti il perdono, la vittoria sulle tentazioni e la liberazione da tutti i mali.
Don Carlo