Il 2 di gennaio si festeggiano due grandi amici: Basilio il Gande e Gregorio vescovo di Nazianzio
Basilio, vescovo di Cesarea in Cappadocia, detto Magno per dottrina e sapienza, insegnò ai suoi monaci la meditazione delle Scritture e il lavoro nell’obbedienza e nella carità fraterna e ne disciplinò la vita con regole da lui stesso composte; istruì i fedeli con insigni scritti e rifulse per la cura pastorale dei poveri e dei malati; morì il primo di gennaio a soli 49 anni.
Gregorio, suo amico, vescovo di Sásima, quindi di Costantinopoli e infine di Nazianzo, difese con grande ardore la divinità del Verbo e per questo motivo fu chiamato anche il Teologo.
La mirabile pagina di Gregorio riportata sotto narra il sorgere di questa amicizia, il luogo in cui è nata e le sue caratteristiche.
Entrambi nativi della Cappadocia (l’attuale Turchia centrale) Basilio e Gregorio vanno ad Atene per brama di imparare e ansia di sapere; a cercare l’amore per la sapienza. La loro emulazione è scevra d’invidia e vuol permettere all’altro di primeggiare. Un’amicizia che coltiva l’amore della virtù e che considera grande onore essere e chiamarsi cristiani.
Dal Discorso 43 di san Gregorio Nazianzeno, vescovo (Disc. 43, 15. 16-17. 19-21; PG 36, 514-523)
“Eravamo ad Atene, partiti dalla stessa patria, divisi, come il corso di un fiume, in diverse regioni per brama d'imparare, e di nuovo insieme, come per un accordo, ma in realtà per disposizione divina. Allora non solo io mi sentivo preso da venerazione verso il mio grande Basilio per la serietà dei suoi costumi e per la maturità e saggezza dei suoi discorsi inducevo a fare altrettanto anche altri che ancora non lo conoscevano. Molti però già lo stimavano grandemente, avendolo ben conosciuto e ascoltato in precedenza. Che cosa ne seguiva? Che quasi lui solo, fra tutti coloro che per studio arrivavano ad Atene, era considerato fuori dell'ordine comune, avendo raggiunto una stima che lo metteva ben al di sopra dei semplici discepoli. Questo l'inizio della nostra amicizia; di qui l'incentivo al nostro stretto rapporto; così ci sentimmo presi da mutuo affetto. Quando, con il passare del tempo, ci manifestammo vicendevolmente le nostre intenzioni e capimmo che l'amore della sapienza era ciò che ambedue cercavamo, allora diventammo tutti e due l'uno per l'altro: compagni, commensali, fratelli. Aspiravamo a un medesimo bene e coltivavamo ogni giorno più fervidamente e intimamente il nostro comune ideale. Ci guidava la stessa ansia di sapere, cosa fra tutte eccitatrice d'invidia; eppure fra noi nessuna invidia, si apprezzava invece l'emulazione. Questa era la nostra gara: non chi fosse il primo, ma chi permettesse all'altro di esserlo. Sembrava che avessimo un'unica anima in due corpi. Se non si deve assolutamente prestar fede a coloro che affermano che tutto è in tutti, a noi si deve credere senza esitazione, perché realmente l'uno era nell'altro e con l'altro. L'occupazione e la brama unica per ambedue era la virtù, e vivere tesi alle future speranze e comportarci come se fossimo esuli da questo mondo, prima ancora d'essere usciti dalla presente vita. Tale era il nostro sogno. Ecco perché indirizzavamo la nostra vita e la nostra condotta sulla via dei comandamenti divini e ci animavamo a vicenda all'amore della virtù. E non ci si addebiti a presunzione se dico che eravamo l'uno all'altro norma e regola per distinguere il bene dal male. E mentre altri ricevono i loro titoli dai genitori, o se li procurano essi stessi dalle attività e imprese della loro vita, per noi invece era grande realtà e grande onore essere e chiamarci cristiani”.
Gregorio definito “poeta di Dio” è stato senza dubbio uno dei più grandi poeti cristiani di lingua greca. Lo dimostra questa bella pagina nella quale spiega il senso del Natale:
«Il Verbo stesso di Dio, colui che è prima del tempo, l’invisibile, l’incomprensibile, colui che è al di fuori della materia, il Principio che ha origine dal Principio, la Luce che nasce dalla Luce, la fonte della vita e dell’immortalità, l’espressione dell’archetipo divino, il sigillo che non conosce mutamenti, l’immagine invariata e autentica di Dio, colui che è termine del Padre e Sua Parola, viene in aiuto alla sua propria immagine e si fa uomo per amore dell’uomo. Assume un corpo per salvare il corpo e per amore della mia anima accetta di unirsi ad un’anima dotata di umana intelligenza. Così purifica colui al quale si è fatto simile. Ecco perché è divenuto uomo in tutto come noi, tranne che nel peccato. Fu concepito dalla Vergine, già santificata dallo Spirito Santo nell’anima e nel corpo per l’onore di suo Figlio e la gloria della verginità. (…). Colui che dà ad altri la ricchezza si fa povero. Chiede in elemosina la mia natura umana perché io diventi ricco della sua natura divina. E colui che è la totalità, si spoglia di sé fino all’annullamento. Si priva, infatti, anche se per breve tempo, della sua gloria, perché io partecipi della sua pienezza. Oh sovrabbondante ricchezza della divina bontà!». (Disc. 38,13)
Quando fu costretto a lasciare la cattedra patriarcale di Costantinopoli così salutò la sua comunità:
«Addio, augusta basilica, addio, Santi Apostoli (…) Addio, cattedra pontificale. Addio celebre città, eccelsa per l’ardore della fede e l’amore verso Gesù Cristo. Addio, Oriente e Occidente, per i quali ho tanto combattuto, e che mi avete esposto a tante battaglie. Addio, miei figli, conservate l’eredità che vi è stata affidata. Ricordatevi delle mie sofferenze e che la grazia di nostro Signore Gesù Cristo sia sempre presso di voi».